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sabato 30 novembre 2013

Danilo Dolci - terza parte

Danilo negli anni '70 lavora su un progetto poetico che riunirà le sue precedenti raccolte. L'emblematico titolo sarà “Creatura di creature” e gli farà vincere nel 1979 il “Premio Internazionale Viareggio” 

Si separa dalla moglie Vincenzina e va a convivere con una giornalista svedese da cui avrà altri due figli ma dopo qualche anno lo lascerà.

Nel 1980 viene invitato dall'Unesco a Parigi per partecipare ad un "Simposio internazionale sull'evoluzione dei contenuti dell'educazione generale nel prossimo ventennio"

Nel 1981, in Scandinavia, viene proposto per il premio Nobel alla pace. 

Negli anni ottanta e novanta, Danilo, preoccupato dall'involuzione democratica derivante dal controllo dei mass-media che emargina il dissenso, si concentrerà soprattutto sulla distinzione tra trasmettere e comunicare, tra dominio e potere.
Danilo Dolci avverte infatti i pericoli connessi alla comunicazione di massa che non comunica più ma si limita a trasmettere unilateralmente.

Danilo, in questi tempi, sta vivendo una lunga e dolorosa malattia dovuta al diabete ma non smette di sognare: vorrebbe vedere non più la diga sul fiume Jato solamente come un bacino d'acqua utile per l'agricoltura ma anche come meta turistica, come luogo di svago nel tempo libero, come luogo di sport (pesca e canottaggio).

Nel 1996 riceve una laurea honoris causa presso l'Università di Bologna.

La mattina del 30 dicembre 1997 un infarto lo spegnerà, a 73 anni, in quel di Trappeto.

Questa è la storia di colui che veniva chiamato “il Gandhi di Sicilia”

I figli Libera e Cielo dissero di non aver avuto grosse difficoltà nello scegliere l'abito da mettergli perché, per sua scelta, nell'armadio c'era poco oltre al suo maglione blu, alla sua tuta ed al suo basco.

Gianni Rodari (di cui oggi possiamo vantare una sua intitolazione nel nostro Paese) disse: “Danilo Dolci non è il Socrate che aspetta i discepoli sul traguardo del concetto ma il ricercatore che avanza con i compagni, crescendo con loro, educandosi con loro” 

Mi piace concludere con un pezzo di una lettera che Franco Alasia (stretto collaboratore di Danilo) scrisse: “Di Danilo una prima cosa direi che mi pare essenziale componente della sua complessa personalità: è stato un autentico spirito religioso prima che, ed insieme, poeta... Uso il termine religioso non nel senso confessionale, piuttosto col significato che gli dava Aldo Capitini: religione è una libera aggiunta. Un qualcosa in più che si dà liberamente... Questo tendere all'essenza delle cose, della vita, non è religiosità? Quanto dista la poesia dalla religione? ... Ricordo che in una occasione Danilo m'aveva fatto vedere un promemoria della sua ragazza, segnato a metà giugno del '48: “ricordati che ci sposiamo” diceva. Eravamo in gennaio, febbraio forse. Voleva bene alla sua ragazza. In corso Sempione a Milano lo attendeva uno studio d'architetto. Una professione direi fantastica quella dell'architetto, no? Non un avvenire incerto per lui dopo la laurea ma una prospettiva concretamente allettante. Una sera mentre l'accompagnavo alla fermata del tram Monza-Milano al Rondò di Sesto San Giovanni ne parlammo e lui mi disse di no, che non avremmo accettato quell'occasione. Perché? Correva il rischio, pur con un lavoro tanto dignitoso quanto affascinante, di riservarsi un futuro “di costruttore di case per ricchi”. Lui era invece molto interessato a quanto si faceva a Nomadelfia, la città fondata da Don Zeno Saltini in Emilia, nell'ex campo di concentramento nazista di Fossoli. Là dove si tentava la generosa utopia di una società che voleva vivere la legge dei fratelli, cominciando con l'accogliere i più deboli e indifesi: i bambini, gli orfani, per dare loro una famiglia. Sperava che la sua ragazza l'avrebbe seguito ma non fu così. La perse. Scegliendo di fare quanto credeva giusto. Danilo, come uomo può aver commesso sbagli, ne ha commessi senz'altro. 

Di una cosa sono testimone: nelle scelte ha sempre cercato di discernere il vero dal falso, il giusto dall'ingiusto. Non chiudendosi in sé stesso. Cercando, sollecitando consigli di altri. Confrontandosi. Per avvicinarsi sempre di più all'essenza del vero e del giusto. Cosa per cui è necessario essere liberi...consapevoli che l'amore è tanto indispensabile quanto insufficiente, che conoscenza, tecnica, professionalità e coraggio lo devono integrare. Danilo, come Piaget, credeva nella saggezza dei cosiddetti ignoranti, quelli che lui chiamava gente semplice; che vanno interpellati, sentiti e coinvolti in un processo di liberazione necessario al nostro sviluppo reciproco. Mi diceva, ricordo, che gli sarebbe piaciuto poter fare da trait d'union tra la cosiddetta alta cultura (che è veramente alta quando non è soltanto erudizione) e la cultura popolare. Quella della gente semplice...”

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