Facciamo un po' di chiarezza:
-l'aumento Iva si è avuto a seguito
della crisi di Governo causata da Berlusconi nel fine-settimana
precedente al 1° ottobre (giorno in cui è entrato in vigore
l'aumento della tassa, con un Governo senza poteri) e che lo stesso
Berlusconi ha fatto rientrare subito dopo. Coincidenza?
Quanto costerà alle famiglie l'aumento dell'Iva dal 21% al 22%?
Balletto di cifre sugli effetti economici.
Si dice che per il Codacons saranno
349€ a famiglia con un calo dei consumi del 3%.
Per la Cgia di Mestre i prodotti più
colpiti saranno i Made in Italy mentre le imprese più colpite
saranno quelle piccole.
Facciamo qualche conto con dati
ufficiali.
La spesa media mensile delle famiglie nel 2012 è di 2419€: 468€ in alimentari e bevande, i
restanti 1951€ in prodotti e servizi.
Quali sono i beni coinvolti nella
crescita dell'Iva?
Il 40,7% dei beni della spesa media
italiana. Tra cui auto, bevande gassate, caffè, calzature,
carburante, parrucchiere, prodotti tecnologici, superalcolici,
vestiti, vino... Non riguarderà i beni con Iva al 4% (alimentari di
prima necessità, giornali, libri...) e quelli con l'Iva al 10%
(alberghi, energia elettrica domestica, gas per riscaldamento,
ristoranti, ristrutturazioni edilizie...)
Quindi, se l'aumento sarà trasferito
sul prezzo di vendita, l'impatto sulle famiglie sarà di 118,14€.
Visto che al Nord il consumo è maggiore, sarà maggiore anche
l'aumento (circa 130€ mentre al Centro circa 119€, al Sud circa
91€ e nelle Isole circa 81€).
Un caffè al bar costerà sempre uguale
ma una confezione di caffè costerà di più (circa 2 centesimi di
euro). Stesso discorso per una bevanda gassata. Leggermente maggiore
per una bottiglia di vino.
Una lavatrice aumenterà di circa
3,50€.
Non sono notizie positive ma il
risultato sarà meno di un terzo di quanto sparato dal Codacons.
Diventa importantissimo il confronto nella scelta per risparmiare.
Come si distribuiranno gli effetti?
Sicuramente è una forma di tassazione
sui consumi ed è quindi dannosa per la crescita economica.
È
un'imposta regressiva? Colpisce quindi soprattutto i meno abbienti?
Proviamo a simularne l'incidenza.
Sono
necessari dati sui redditi, sulla ricchezza e sulla struttura dei
consumi (disponibili in Banca d'Italia e Istat).
Identifichiamo come
reddito lordo annuale la somma dei redditi (con le diverse
tassazioni), identifichiamo come reddito disponibile annuale il
reddito lordo annuale al netto delle tassazioni e identifichiamo come
reddito corretto il reddito per quei soggetti con più consumo
annuale che reddito annuale (è possibile indebitarsi, ridurre il
patrimonio, percepire reddito in maniera discontinua...)
Ne risulta che l'Iva è un'imposta
molto regressiva perché, mediamente, sarebbe a carico più del
doppio ai consumatori meno abbienti: 18% contro 7%.
Questo calcolo, appunto per il fatto
che dev'essere corretto, deve essere integrato per dare uno scenario
più veritiero. Sarebbe meglio analizzare un orizzonte di tempo più
lungo per evitare che ci siano grosse distanze tra il tempo in cui si
percepisce il reddito e il tempo in cui lo si consuma. La correzione
in questione consiste praticamente nell'allineare il livello del
reddito annuale al livello del consumo annuale, se quest'ultimo
risulta eccedente al reddito. Questo è possibile perché significa
che altre entrate han permesso un maggiore consumo e queste entrate
vengono inglobate nel reddito annuale.
Con questa ipotetica
correzione l'Iva risulta un'imposta regressiva ma circa la metà
rispetto a prima: 9,5% contro 7,5%.
Questa correzione è purtroppo
solo immaginaria e, nell'attesa di indicatori che si basino su
comparazioni pluriennali fra consumo e reddito per rendere l'analisi
ottimale, dobbiamo affermare il profilo di regressività dell'Iva e
quindi la maggiore incidenza dell'imposta sui consumatori con il
reddito annuale più basso.
Perché quindi non pensare ad
interventi redistribuiti compensativi sul lato delle imposte sui
redditi?
Rispetto al reddito disponibile
familiare e al consumo equivalente, l'Iva ha un'incidenza con
andamento piuttosto standard, vista anche l'ovvia progressività
rispetto ai consumi.
Distribuendo le famiglie in base alla
ricchezza netta (attività finanziarie e reali al netto delle
passività finanziarie) si vede che l'andamento dell'aliquota
misurata al consumo sia sostanzialmente stabile tra il ceto
medio-basso e subisce poi un'impennata per il ceto più ricco. Il
motivo è ancora tutto da scoprire ma si può presumere che alcune
famiglie con bassi redditi annuali possano detenere una ricchezza
netta più elevata. Purtroppo, come già detto, non esistono
indicatori più precisi per misurare l'incidenza di quest'imposta e
quindi questi risultati possono sicuramente essere ulteriormente
confrontati e verificati.
Nell'attesa, un ripensamento
complessivo dell'architettura fiscale del nostro Paese andrebbe
eseguito, magari alleggerendo l'imposizione sui redditi (soprattutto
quelli più bassi) e, se necessario, compensando con l'imposizione
reale.
Chissà cosa ci riserverà questa Legge
di Stabilità..
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